Quello che i fanatici dimenticano
Siamo circondati da propagandisti usciti dall'ovetto Kinder
I principali propagandisti con cui abbiamo a che fare sono ripetitori, non emettitori. Valgono quanto un foglio di carta carbone, non sanno di che parlano, hanno gli occhi strabuzzati e iniettati di sangue, le vene gonfie al collo, mentre urlano requisitorie sul massacro dei bambini palestinesi giustiziati dallo stato illegale di Israele oppure, a scelta, sulla necessaria giustizia divina che Israele deve calare con mano pesante sui terroristi massacratori di bambini israeliani.
Né gli uni né gli altri sono mai usciti dalla provincia di Vicenza o dalla borgata.
Lasciamoli pure scannarsi, in fondo hanno trovato solamente un diverso palliativo all’attesa della morte rispetto al più diffuso medicinale chiamato giuoco del calcio. Lo scopo è lo stesso, l’idiozia la medesima, la violenza derivante dalle forme esasperate del tifo pure peggiore.
Noi proseguiamo il nostro incessante e intenso lavorìo per tentare di ricostruire l’immagine andata in mille pezzi dopo decenni di esplosioni, incendi, colpi d’artiglieria e riscritture della storia. E oggi aggiungiamo un altro piccolo pezzetto, le divisioni interne nello Stato di Israele.
Contro il governo sì, contro Israele no
Il somarello fanatico di turno sa una cosa (che non ha capito): deve delegittimare chi non la pensa come lui, senza dare l’impressione di non accettare alcuna idea differente e di non essere aperto ai pareri diversi dal suo.
È solo teatro, il fanatico vuole cauterizzare e sterminare chi non la pensa come lui.
Ma siccome non sta bene dirlo (il fanatico è sempre bene inserito in società), allora si inventa qualche strategia retorica per affermare che si può pensare diversamente da lui, ma con dei limiti.
Il limite in questo caso è: puoi criticare il governo di Israele, ma non puoi criticare Israele, altrimenti sei un antisemita, in altri termini un nazista.
I più acculturati chiamano questa volgare tecnica Reductio ad Hitlerum, quanto di più squallido e ignorante esista sulla faccia della terra.
Non a caso, è la tipica strategia della sinistra.
Oggi sto descrivendo i fanatici sostenitori di Israele, ma come sapete se mi seguite per me non c’è differenza con i fanatici sostenitori degli arabi di Palestina e della loro lotta senza quartiere che ha dato i natali a un movimento violento, terrorista e incompatibile con la vita (tranne che la propria). E no, non parlo solo di Hamas. Parlo di ogni cosa si sia prodotta da quella lotta, che non è per la propria libertà, ma è per l’eliminazione altrui.
La possibile guerra civile israeliana
Pochi hanno collegato i puntini. Quando il 7 ottobre Hamas ha attaccato vilmente e vigliaccamente Israele, la questione palestinese era ben lontana dai pasti principali serviti nel nostro stantio pranzetto quotidiano.
Il piatto forte da un paio di anni era sempre e solo Putin. Stava quasi tornando in auge il digestivo Donald Trump, ma certo nessuno era interessato a sostituire tutto quel ben di Iddio con un volgare kebab avvolto nella carta stagnola.
Eppure, di cose che si sono mosse, in questi anni, ce ne sono state parecchie.
Come per esempio l’acuirsi delle divisioni interne allo stato di Israele.
Si fa presto a dire ebreo
L’equazione che porta alla coincidenza tra israeliani ed ebrei è sbagliata ma efficace. Rimane comunque sbagliata, visto che un buon 22% della popolazione israeliana è di etnia araba, ma è efficace se pensiamo ad Israele come lo stato ebraico.
D’altra parte, è per quello che l’esistenza di Israele è legittima. Uno Stato per un Popolo, quello ebraico. Stato e popolo che ne accolgono un altro, quello arabo, e in ciò sta il senso della descrizione di Israele come democrazia.
Sin qui tutto bene, e l’ho già ripetuto in più occasioni, fino alla nausea.
Quello che però dobbiamo dire ora arriva da un ulteriore passetto verso la verità.
Perché si fa presto a dire “ebrei”, ma ebrei de che? Che non sono mica tutti uguali. Lasciamo da parte le distinzione tra sionisti e anti sionisti (sì, esistono anche quelli) e concentriamoci su quelli che vivono entro i confini di Israele.
Qui siamo di fronte a una spaccatura interna che raramente vi viene raccontata.
In Israele vivono gli ebrei laici (sono il 38% della popolazione), vivono gli ebrei religiosi (15%), e infine quelli ultra ortodossi (25%).
Il problema di questa ripartizione demografica è che la quota di ebrei secolari, quelli cioè che credono nel prevalere della democrazia e dello stato laico sulla religione, si sta assottigliando.
Israele sta ciò spostando il suo baricentro nella direzione di un sistema non secolarizzato e guidato da forti istanze assolutiste, tipiche fino ad oggi dei paesi che la circondano.
L’attuale governo è espressione, almeno in parte, di queste stesse istanze, che nel paese stanno diventando maggioritarie.
Non a caso anche gli arabi israeliani, quel venti percento abbondante di cui parliamo sempre, hanno animato negli scorsi mesi accesissime proteste antigovernative, percependo la possibilità che libertà e i diritti di cui hanno indiscutibilmente goduto fino ad oggi, possano essere messi in discussione.
Di fronte a questo, perciò, non si può certamente semplificare la faccenda a un singolo governo o, peggio ancora, a Netanyahu. C’è in atto una trasformazione che coinvolge l’essenza stessa di Israele e la sua natura, e questa osservazione va osservata e compresa.
Non esiste il “contro il governo sì, contro Israele no”. Esiste solo “capire”, perché a questo punto non basta neppure “sapere”.
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